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IL CASO SPOTLIGHT
(SPOTLIGHT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 febbraio 2016
 
di Tom McCarthy, con Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, John Slattery, Stanley Tucci (Stati Uniti, 2015)
 
Che SPOTLIGHT si vedesse assegnare l'Oscar per il Miglior Film non era forse previsto. Ma che questo non avvenga per caso (sorvolando nel contempo la presenza di un capolavoro come CAROL di Todd Haynes) merita una riflessione.

Accanto al cinema visionario che perpetua il culto dell'immagine caro a una gloriosa tradizione americana, accanto ai vari Michael Mann, P.T. Anderson, Steve McQueen, Bennett Miller, James Gray, Jeff Nichols, Nicholas Winding Refn sembra affermarsi un filone redivivo. Sempre quello di un cinema dallo sguardo rigoroso e creativo: forse influenzato dal successo delle migliori serie, meno preoccupato dell'evidenza clamorosa dell'effetto visuale. Attento a sottolineare il proprio messaggio, l'esposizione diretta e razionale dei contenuti: grazie alla perfezione della sceneggiatura, allo stimolo ottenuto dal montaggio, la qualità dei dialoghi, l'importanza della parola, il risalto eclatante che ne deriva per l'eccellenza delle interpretazioni.

Qualcuno aveva già notato queste particolarità nel magnifico MARGIN CALL dell'esordiente J.C. Chandor nel 2011: ne nacque il primo film di finzione capace finora di penetrare nel buco nero dell'alta finanza, di sfidare certe caste preservate nella crisi che viviamo. La via era tracciata: il recente successo, anche pubblico, di La grande scommessa di Adam McKay dimostra come delle disinvolture di Wall Street con subprime e quanto ne seguì si possa parlare con procedimenti analoghi. Senza per questo rinunciare a siparietti farseschi; ma anche con la voglia di capire, di non perdersi in fronzoli, affidando dialoghi inequivocabili ad attori ispirati.

IL CASO SPOTLIGHT appartiene ora a questa esigenza di esplicita chiarezza, pur occupandosi di avvenimenti ancora più scabrosi: gli abusi sessuali su bambini, perpetrati all'interno della Chiesa di Boston nel 2001. Nel luglio di quell'anno un nuovo redattore capo venne nominato alla testa del quotidiano Boston Globe e di un gruppo di giornalisti d'inchiesta, Spotlight. Dalla loro coraggiosa determinazione fu finalmente possibile rivelare (malgrado le prevedibili resistenze, oltre che del clero, della politica e di un sistema di potere tutto) come da decenni l'Arcidiocesi cattolica locale avesse occultato centinaia di casi di pedofilia in danno a un migliaio di vittime. E sistematicamente sottratto i colpevoli alla giustizia.

La forza del film non si costruisce però sul sensazionalismo di uno scandalo che dilagò nel mondo. Stringato com'è sugli scambi verbali, sui piccoli dettagli, sulle reazioni dei formidabili Ruffalo, Keaton, Schreiber, Tucci e compagni, SPOTLIGHT registra semplicemente i fatti effettivamente accaduti, cosi come vengono progressivamente a conoscenza degli inquirenti. Penetra nel quotidiano, nelle sensazioni minime di quei guardiani della democrazia, come sono ritenuti da sempre i giornalisti nel cinema americano. Certo, il film si inserisce (con minore brillantezza ma indubbia efficacia) nella traccia della tradizione di denuncia hollywoodiana, in particolare del capolavoro di Alan Pakula TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE, che già illustrava il ruolo avuto da un altro quotidiano, il Washington Post, nella rivelazione dello scandalo del Watergate.

Ma il film del discreto Tom McCarthy si costruisce su un valore inusitato, quello della misura: senza ridondanza e falsi moralismi, evitando di speculare sul suspense morboso della faccenda, o esaurirsi nelle formule ipertrofiche del mondo dello spettacolo. Invita al contrario ad allargare la riflessione sulle responsabilità della società che incornicia l'omertà locale: affinando di conseguenza l'impatto del proprio sdegno. Proprio ad immagine di una doverosa presa di coscienza che, a partire da quel 2011, non potrà evitare di ampliarsi fino ai livelli più alti della Chiesa.


   Il film in Internet (Google)

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